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mercoledì 16 novembre 2011

DISASTRO - COSA FARE PER EVITARLO?

 

Polesine      -  Ho trovato una breve descrizione di ciò che è accaduto
  • Lunedì 12 novembre 1951, alla Becca, località di confluenza del fiume Ticino con il Po, le acque raggiungono un livello molto elevato.
    Nell'Oltrepo pavese si verificano i primi gravi allagamenti.

    Da monte a valle, la massa d'acqua continua ad aumentare, via via che gli affluenti di destra e di sinistra la gonfiano.
    Le due rotte dell'argine destro in provincia di Parma e Reggio non servono ad abbassare il livello e la portata del colmo dell'onda.
    Vengono allagate anche le campagne del Cremonese.
    La prima grande rotta da segnalare non è del Po ma di un suo affluente il Crostolo.
  • Mercoledì 14 novembre, a Gualtieri, la pressione della piena dell'affluente, non ricevuta dal Po, rompe gli argini a poche centinaia di metri dal punto di confluenza; il riflusso del Po è violento, la cittadina è completamente allagata.
    L'onda di piena procede verso la foce e chi pagherà più duramente di
    tutte le altre località rivirasche sarà il Polesine.
    Centinaia di ettari del territorio polesiano si trovano a quote inferiori al livello del mare. Le prime tracimazioni si verificano tra il 14 e il 15 a Paviole e a Occhiobello.
    Sono invase le campagne di Polesella e la fiumana avanza verso Rovigo.
    L'acqua invade tutta la provincia di Rovigo e una parte delle province di Mantova e Venezia.
  • Nella notte del 18 novembre viene dato l'ordine di evacuare la città.
    Stessa sorte tocca ad Adria, Cavarzere e Loreo, che vengono completamente allagate lunedì 19 novembre.
  • L'onda di piena si scarica in mare all'incirca martedì 20 novembre. 


L'etimologia del termine disastro (dal latino: dis-, prefisso con significato di "male", "mancanza" + astrum, "astro"; confronta, per analogia, la parola disfunzione) fa riferimento alle cattive congiunzioni astrali, vale a dire a qualcosa di non dominabile, collocato al di fuori dei poteri dell'uomo. 
In realtà, alla base di molte catastrofi è possibile rintracciare delle responsabilità umane e delle scelte (politiche, economiche, ecc.) sbagliate.
Chi ha dunque predisposto le condizioni perchè si verificasse un disastro a proposito del quale si è spesso parlato di tragedia annunciata? Di chi è la colpa dell'accaduto?


ANDIAMO A VEDERE COSA E' SUCCESSO IN SEGUITO:

Tabella comparativa dei disastri

Abbiamo preso il disastro del Vajont come punto di riferimento per compilare questa tabella comparativa delle varie catastrofi analizzate dal sito http://leguarag.xoom.it/lguarag/vajont/index.html
 
Altri disastri Entità Analogie Differenze
Polesine
1951


900 case distrutte
300 danneggiate
38 comuni danneggiati
160 mila persone dovettero lasciare la propria abitazione
400 miliardi di danni
Responsabilità umane:
disboscamento costruzione edili, etc...
Il disastro è stato causato dalle alluvioni che hanno fatto straripare il Po ed i suoi affluenti
Frejus
(diga Malpasset 1959)
400 morti Responsabilità umane:
la diga che crolla ha poche fondamenta
Le dimensioni del disastro sono più ridotte
La dinamica è diversa perché in questo caso è la diga a cedere
Seveso 1976 Non ci sono stati morti, ma le dimensioni precise del dramma non si conosceranno mai, perchè non è stato calcolato dove è finita tutta la diossina.
Responsabilità umane: si sapeva che la produzione di diossina era pericolosa; l'industria era localizzata in una zona molto popolosa.
Danni ambientali alle coltivazioni
Si tratta di un disastro che non ha a che fare con alluvioni o frane ma con la fuoruscita di elementi tossici da uno stabilimento chimico.
Inquinamento dell'aria.
Inquinamento dell'acqua.
Le vittime colpite da elementi tossici hanno riportato danni al fegato, agli occhi, alla pelle e nascita di malattie ereditarie.
Valtellina (1987)
305 mm di pioggia in un solo giorno.
40 milioni di metri cubi di roccia si materializzano in una frana che copre i paesi limitrofi alla Val Pola.
La frana crea uno sbarramento che dà origine a un lago sul quale si teme possa cadere un'ulteriore frana.
Danni ambientali a case, industrie e coltivazioni.
La protezione civile ha tentato di baipassare e drenare l'acqua del lago.
In previsione della frana, la zona fu subito evacuata.
(1998)
159 morti.
Responsabilità umane: costruire in luoghi a rischio idrogeologico.
Una massa di fango e detriti si è staccata dalla montagna distruggendo molte abitazioni e provocando diverse vittime. Si tratta di una frana, ma anche di un ' alluvione.
Non ci sono interessi economici da parte delle industrie.Sarno

          
COSA POSSIAMO FARE?


  • Briglie.
    L'
    erosione  a opera delle acque superficiali dipende dalla velocità della corrente, che può essere rallentata con la costruzione di gradini, chiamati briglie,  lungo il corso d'acqua.
    Tra una briglia e l'altra l'acqua scorre con scarsa pendenza, per poi passare con un salto brusco al gradino successivo. In questo modo si diminuisce la velocità della corrente e di conseguenza anche l'asportazione di materiali.

  • Argini artificiali.
    Per impedire le
    alluvioni  si può intervenire sui corsi d'acqua costruendo argini artificiali. La progettazione di queste opere di difesa deve tenere adeguato conto dell'aumento delle masse d'acqua durante le piene. Per questo motivo gli argini sono eretti ad una certa distanza dall'alveo, così da consentire sfogo alle acque in caso di necessità.

  • Serbatoi di piena e scolmatori.
    Allo scopo di diminuire la portata dei corsi d'acqua in piena si costruiscono i serbatoi di piena e i canali scolmatori.
    I serbatoi di piena sono bacini, nei quali vengono convogliate le acque al fine di trattenere una parte dell'ondata di piena.
    Gli scolmatori sono canali o gallerie che, aperti prima dell' arrivo dell'ondata di piena, fanno defluire parte delle acque in un lago o in un mare.

  • Sistemi di contenimento.
    In molti
    fiumi  le arginature artificiali interferiscono con il normale funzionamento dei sistemi fluviali. Per un'adeguata protezione delle ondate di piena, è indispensabile predisporre dei sistemi di contenimento.Di recente si è iniziato a utilizzare i bacini artificiali anche per controllare e regolare le portate dei fiumi.

  • Canali artificiali.
    Per contenere le ondate di piena lungo il corso inferiore dei fiumi, fin dai tempi più antichi vengono scavati canali artificiali e allargamenti dell'
    alveo.  In alcuni vasti tratti di pianura alluvionale vengono lasciati sgombri, così che l'acqua delle piene possa riversarvisi completamente.

  • Rimboschimento e controllo della vegetazione.
    Visto che il
    disboscamento contribuisce ad accrescere il rischio di alluvioni e frane, un adeguato controllo della distruzione della vegetazione ed eventuali interventi di rimboschimento dove ve ne sia la necessità, possono essere fattori molto importanti per mantenere un Territorio in equilibrio e prevenirne il dissesto.


2. Interventi di difesa contro le frane
Le frane  possono provocare danni ingenti alle cose e alle persone. La prevenzione e il consolidamento delle frane sono gli interventi di difesa più frequenti operati dall'uomo sul territorio.
 

Evitare costruzioni.
Gli interventi di prevenzione sono come sempre i migliori. L'uso scorretto del territorio può trasformare un terreno normale in un terreno franoso. Una volta individuati i terreni poco stabili, una efficace misura preventiva consiste nell'evitare la costruzione di manufatti su questi terreni.


  • Evitare sbancamenti.
    Opere edilizie che sovraccaricano i versanti possono provocare frane. Identiche conseguenze si hanno con sbancamenti che aumentano eccessivamente la pendenza dei versanti.

  • Circolazione delle acque.
    Altri interventi di prevenzione riguardano la circolazione delle acque superficiali e sotterranee. Bisogna impedire che le acque di ruscellamento raggiungano il terreno instabile. Le acque di ruscellamento vanno allontanate dalle zone a rischio mediante fossi di scolo. L'acqua che si infiltra, infatti, appesantisce il terreno, che frana con maggiore facilità.
    La prevenzione delle frane si attua anche favorendo lo sviluppo della
    copertura vegetale ed estraendo acqua dal terreno mediante pozzi. Si possono costruire opere di contenimento, come muri di sostegno e gabbionate,  o appensatire con materiale inerte il piede   della frana per stabilizzarla.

martedì 15 novembre 2011

TORINO E GLI IMMIGRATI DOPO L'ALLUVIONE

IL POLESINE ED I POLESANI

Scivolare nel silenzio dei canneti, in luoghi suggestivi e nascosti, una natura incontaminata e malinconica, l’operosità tenace della sua gente, umili abitazioni inserite con discrezione in un ambiente dai cieli alti. Il Polesine, piccola Mesopotamia, fra Adige e Po, ha ospitato culture antichissime.



Concausa dell’emigrazione fu, in quegli anni, l’alluvione del Po


Nel novembre del 1951 il fiume più importante d’Italia invase con le sue acque il Polesine sommergendo abitazioni, tenute agricole, piccole industrie e seminando ovunque desolazione e paura. Le popolazioni colpite dalla alluvione vivevano in condizioni terribili. Le abitazioni allagate erano inagibili, acqua e fango avevano distrutto i mobili, la biancheria e le provviste alimentari; una catastrofe economica e sanitaria a cui si doveva sommare l’inverno alle porte. Ogni comune colpito cercava nel limiti delle proprie possibilità di prestare i primi aiuti alla popolazione. A sei anni dalla fine del conflitto mondiale, ritornava di moda un verbo dal significato sinistro “ sfollare” e tante famiglie lasciarono la terra d’origine per essere destinate nei vari centri di accoglienza nelle grandi città industriali. Torino accolse un elevato numero di “profughi”.
La maggior parte dei Polesani presenti nella cintura di Torino proveniva dai comuni di  Adria, Contarina, Gaiba, Porto Tolle e Taglio di Po .


Al  termine  dell’emergenza  alluvione,  parte  dei   Polesani  ritornò  ai paesi
d’origine, mentre una parte decise di stabilirsi definitivamente in Piemonte poiché vi era una sostenuta richiesta di lavoro da parte delle industrie. Collegno per la sua vicinanza a Torino, fu meta di una forte migrazione polesana.

      Baracche di Italia ’61, Torino 1955. © Archivio Storico Città di Torino.




lunedì 14 novembre 2011

ALLUVIONE POLESINE 14 NOVEMBRE 1951 Ricordando le passate tragiche alluvioni


La furia del PO
Quarant'anni fa si consumava il dramma dell'alluvione del Polesine, della - grande - alluvione del '51.
Richiamare alla memoria quest'evento assume per l'Istituto almeno un duplice significato.
Attraverso la ricerca delle documentazioni raccolte ed al suo riordino, la tragedia che si è abbattuta su questa terra, sulla sua gente, sulle sue cose ripropone i termini di quel difficile, sofferto rapporto che da sempre il Polesine ha con la natura: immagini, lontane, di volti impauriti, angosciati; di distruzioni improvvise; di morte. immagini di una terra prostrata dalle grandi rotte del 14 novembre a Paviole, a Malcantone, a Bosco; di sfollati accampati in lunghe, desolate file sugli argini. Immagini che stringono attorno al Polesine l'Italia tutta, in una ritrovata immensa fraternità dopo il dramma della guerra, e del primissimo dopo guerra.
E' anche il modo, semplice, con cui i figli, oggi, ricordano la tragedia vissuta dai padri; il loro sgomento, la loro disperazione. Ma ricordano anche la fioritura di tante piccole e grandi generosità, di tante commozioni, di uno slancio solidale, generoso verso chi da solo non ce la faceva più.
E il "grazie" accorato, convinto rivolto a quei tanti, che vollero non lasciare sola questa terra, le sue genti.
E riproporre lo slancio, commosso, generoso di quella rinnovata solidarietà è l'altro dei significati che questa raccolta, nella sua semplicità, vorrebbe offrire, quando nuovi eventi, diversi, ma al pari drammatici, e rovinosi, vanno disseminando nuove angosce, nuovi sfollati, e vanno richiedendo nuove generose solidarietà che sappiano, come allora, mobilitare le migliori risorse dell'animo umano.
Così l'iniziativa legata come altre note in Istituto alla sensibilità ed all'impegno degli studenti e dei loro familiari coordinati nel loro lavoro dal Collega, impareggiabile, don Castello, si inserisce in un itinerario di ricerca che vuole condurre ad una più attenta lettura del tempo presente, nelle sue derivazioni da un passato più o meno prossimo, ma che a tutti appartiene e a tutti prefigura il futuro.

Badia Polesine 17 luglio 1991
Fausto Merchiori
(Preside I.T.F.S. Luigi Einaudi Badia Pol.)

ROVIGO - La mattina di quel mercoledì 14 novembre 1951, le scuole di Occhiobello, in provincia di Rovigo, rimasero chiuse. La piena del Po si stava avvicinando, la popolazione era nervosa e nessuno si sentiva al sicuro. Quel giorno tutti lo passarono a sistemare bestie e averi, portandoli ai piani superiori degli edifici. Aveva piovuto tanto in quel periodo e in tutto il Nord Italia, aumentando il livello dell’acqua degli affluenti e dell’asta principale del fiume, mentre un vento di scirocco impediva al mare di ricevere, creando una miscela che da lì a poco avrebbe scatenato la forza del fiume sulla popolazione. Già nel primo pomeriggio intere famiglie si industriavano, chi per proteggere le cose, chi per cercare riparo, mentre l’acqua cominciava ad uscire e a inondare le campagne. C’era tanta nebbia e il silenzio veniva rotto solo dal rumore del fiume che scavalcava la sommità arginale. Era il preludio dell’immane catastrofe che si sarebbe abbattuta alla sera e che avrebbe segnato per sempre questo territorio.
In località Malcantone, nel Comune di Occhiobello, ci fu la terza rotta, la più devastante, quella che permise al Grande Fiume di violare le campagne e le genti che le abitavano. Furono un centinaio le vittime, 84 solo nel «camion della morte», che fu inghiottito dalle acque all’altezza di Frassinelle con il suo carico di fuggiaschi. Una strage, quella di Frassinelle, che poteva essere evitata, come racconta Mario Ruggin, 24 anni all’epoca dei fatti: «Ero all’incrocio dove passò quel camion, con il lumino a petrolio. Nel buio mi feci vedere dall’autista, gli gridai di prendere la strada a sinistra. I fossi stanno crescendo in modo rapidissimo, gli spiegai, non devi proseguire dritto perché lì e già arrivata l’acqua». Ma quel vecchio Alfa Romeo dal muso sporgente, guidato dal signor Attilio Baccaglini, che si salvò, finì direttamente nelle acque del Po. Furono oltre 200 mila i senzatetto e 700 gli edifici distrutti. Altre testimonianze arrivano dai bambini di allora, come Antonietta e Antonio Poli, due fratelli che all’epoca avevano 10 e 7 anni. «Vivevamo in località Bosco (nel Comune di Occhiobello ndr), dove vi fu la seconda rotta—raccontano —. Trovammo rifugio in una casa vicina di nuova costruzione, la sera mangiammo qualcosa, prima di andare a letto».
Poi il boato e mezza casa fu spazzata via. Un’intera famiglia, quella che vi si era rifugiata con loro, una coppia con due figli piccoli, morì travolta dall’onda, mentre i fratelli caddero in acqua finendo sopra l’unico melo che ancora resisteva all’impeto del fiume. Passarono 36 ore aggrappati ad un tronco ad attendere i soccorsi, mezzi nudi in inverno e scaldandosi stringendo un gattino che aveva trovato rifugio nello stesso albero. «Tragiche scene di pericoli, grida di soccorso, di aiuto e poi anche di disperazione, perché si sfuggiva alla morte e si fuggiva alla rinfusa, strappati talvolta dai cari e da ogni cosa — furono le parole dell’allora sindaco di Adria, Sante Tugnolo, 22 anni all’epoca, nel verbale del Consiglio comunale del 9 dicembre 1951, testimonianza diretta della disperazione di quei giorni —.
Fanno ritornare in chiara visione nella mente gli avvenimenti succedutisi fulmineamente e giustificano grandemente taluni errori, se essi si possono qualificare, commessi in quei tristi momenti». Miliardi delle vecchie lire di danni e 80 mila persone emigrate nel decennio successivo, dimezzando la popolazione di molte città del medio e del basso Polesine. Ma la «madre delle tragedie» non è riuscita a insegnare all’Italia l’importanza della politica di prevenzione contro il dissesto idrogeologico, strettamente connesso con la fragilità del territorio, come testimoniano le alluvioni dell’anno scorso, nel Vicentino, nel Veronese e nel Padovano e quelle dei giorni scorsi che hanno messo in ginocchio Liguria e Toscana.

Nicola Cappello
14 novembre 2011

venerdì 11 novembre 2011

LUCI D’ARTISTA 2011 dal 1° novembre al 15 gennaio 2012

Anche quest'anno, molto attese, arrivano le luci d'artista...


         “Vele di Natale” di Vasco Are – da via Po a Piazza Carlo Alberto




       
“Palle di neve” di Enrica Borghi – via Garibaldi




               
“Tappeto Volante” di Daniel Buren – piazza Palazzo di Città




“Volo su…” di Francesco Casorati - via Po





  
     
le mie preferite
“Bwindi Light” di MasksRichi Ferrero – Cortile d’Onore, palazzo dell’Università, via Po 17




“L’energia che unisce si espande nel blu” di Marco Gastini – Galleria Subalpina





                                                   “Planetario” di Carmelo Giammello – via Pietro Micca




“Piccoli Spiriti Blu” di Rebecca Horn - Monte dei Cappuccini





     “Doppio Passaggio” di Joseph Kosuth – Murazzi sul Po





“La Strada dei Magi” di Emanuele Luzzati -piazza Castello




“Neongraphy” di Qingyum Ma – Fondazione Sandretto (via Modane)




“Luì e l’arte di andare nel bosco” di Luigi Mainolfi – via Lagrange



“Il volo dei numeri” di Mario Merz – Mole Antonelliana




         


“Vento solare” di Luigi Nervo – Piazzetta Mollino






“Palomar” di Giulio Paolini – via Roma





“Amare le differenze” di Michelangelo Pistoletto – Porta Palazzo






                                             


   
“Flamingo” di PITAYA Design – via Buozzi/via Amendola


    

                      
“My Noon” di Tobias Rehberger – piazza Carignano





  
“Noi” di Luigi Stoisa – via Carlo Alberto





    
“Luce fontana ruota” di Gilberto Zorio – Laghetto di Italia ’61




“E adesso usciremo a rivedere le stelle…” di Maurizio Agostinetto


Due le novità dell’edizione Luci D’Artista 2011: la nuova istallazione luminosa “Flamingo” ideata da PITAYA Design, in arrivo dalla Fête des Lumières di Lio; e una luce itinerante denominata “E adesso usciremo a rivedere le stelle…” di Maurizio Agostinetto






e non finisce qui...